Rettoria Santa Maria di Talsano



Le tradizioni di Talsano sono legate all'Abbazia, perché dopo il periodo della mietitura, che avveniva nei luoghi bonificati che erano stati seminati durante l'autunno, per ringraziare la Madonna, che vegliava su questi campi ancora oggi coltivati a grano, a uliveti e vigneti, veniva esposta in processione, verso i punti dove il paese si stava espandendo e quindi anche verso gli altri due nuclei originali del paese. Il corteo faceva il giro di "piazza Monfredi", che è situata all'ingresso di Talsano se si proviene da Taranto, e poi ritornava in chiesa. Questa festa per la sua grandezza e il suo particolare significato, prendeva il nome di "Festa delle Messi" o della "Mietitura".

(Racconto di Grazia Pulignano, di anni 55)

Le celebrazioni delle feste più importanti del paese si mescolano con le usanze sacre e profane dei popoli che qui vi hanno abitato nei secoli passati. Dai Greci ha ereditato le caratteristiche della tolleranza, e del culto dei morti; un tempo vi erano le pie donne che si recavano in casa del defunto rigorosamente vestite di nero e cantavano le sue lodi.
Dagli Albanesi che avevano occupato la vicina Faggiano ha ereditato la celebrazione della festa di San Giuseppe, durante la quale si innalza la pira (per scacciare gli spiriti maligni), e si cucina in quel giorno una pasta particolare (bastoncini di San Giuseppe, oggi Tripoline), condite con pan grattato soffritto in olio, acciughe salate e aglio. Il fuoco della pira di San Giuseppe, veniva poi portato nelle case a ricordo, del fuoco che il Santo andò a chiedere per riscaldare il bambinello. Tale fuoco doveva rappresentare l'ultimo "fuoco" della stagione invernale.
Dai Calabri "i leccesi di terra d'Otranto", ha ereditato la ricetta della pasta povera dei dolci, fatta di farina più vino o farina più olio, impastata con zucchero, uova e altre spezie in seguito infarinate e fritte, condite con miele e zucchero.
Dagli Arabi le ricette dei dolci poveri di carnevale fatti con farina, vino, senza uova; l'impasto poi viene lavorato a listarelle, fritte e condite con zucchero. Ricordiamo anche le ciambelle di patate fritte e poi passate nello zucchero.
Si può affermare che alcune feste hanno sapore pagano (le pire, i pianti delle pie donne, etc.) e si rifanno ad un periodo non cristiano, modificate nel tempo viste le mutate situazioni religiose. Dai popoli orientali (Greci, Persiani e Arabi) ha ereditato la "dote", ovvero ciò che una sposa doveva allo sposo e che rappresentava l'inizio di una vita di coppia prosperosa. Il valore della "dote" dipendeva dal ceto sociale della famiglia. La sposa raggiungeva a piedi la chiesa, i più agiati ricorrevano alle carrozze. I pranzi matrimoniali si svolgevano in casa e per l'occasione si chiamava un "cuoco", ossia colui che non solo sapeva cucinare, ma aveva il senso "misura". Quanto serviva in relazione al numero degli invitati. Un tempo i dolci venivano cotti nell'unico forno a legna di Talsano, gestito da "nonna Addulurata" e da suo nipote "Mimi du fùm" che raccoglieva le "cotte" cioè gestiva l'ordine di cottura nei vari orari dell'accensione del forno. Prima si cuoceva il pane, poi i biscotti, poi le teglie dei primi o dei secondi piatti (il tomo elettrico era un lusso). Per le case correva voce "prestami un po' di luate", cioè pasta lievitata tolta dall'impasto originale che serviva per lievitare la pasta nelle successive volte, questo si conservava coperto di olio di settimana in settimana. I biscotti erano impastati con il latte; con il vino; con l'olio. Qualche ricetta prevedeva le mandorle tritate, immancabili le pettole. Durante la Pasqua si cucinavano i biscotti di pasta povera conditi col miele, le "scarcelle" di ogni forma con uova sode da consumare rigorosamente di Pasquetta.
Durante il Carnevale vi era l'allestimento di carri da lavoro, a festa con stoffe, carta, vernice; chiudeva il corteo "Quaresima" un partecipante vestito di nero che stava ad indicare che la festa (divertimento, profana) era terminata e che sopraggiungeva un periodo di lutto (Sacro). Nelle case non appena finiva il Carnevale, il primo giorno di Quaresima si seminavano in scodelle basse, su un sottile strato di terra, oppure ovatta molto umida, il grano, le lenticchie, i ceci, i fagioli e si facevano germogliare al buio; tutto ciò serviva per allestire il Santo Sepolcro. Questi rappresentavano i "fiori" più preziosi per il Sepolcro, il più bello era quello di colore più chiaro.

(Racconto della signora Grazia, di anni 70)

Ricerca realizzata da Mariangela Pizzoleo
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